Cinema e Psicologia

Mr Holmes- il mistero del caso irrisolto

Titolo Originale Mr Holmes

Con: Ian McKellen, Laura Linney, Milo Parker, Hattie Morahan, Hiroyuki Sanada, Patrick Kennedy

Regista Bill Condon

UK-USA 2015, col, 104’

Questo film mi risulta assai singolare: basato sulla sceneggiatura di Jeffrey Hatcher e tratto dal romanzo di Mitch Cullin A Slight Trick of the mind è un piccolo giallo in cui un anziano Holmes lotta con la sua memoria per cercare di ricomporre gli eventi della sua ultima indagine. Viene rappresentata così una lenta e sofferta ricostruzione a ritroso dei ricordi. Sherlock Holmes, ormai ultranovantenne e malato si ritira in una casa di campagna nel Sussex per dedicarsi all’apicoltura. Insoddisfatto dei racconti pubblicati dall’ormai defunto Watson, si trova a ripensare alle circostanze relative al suo ultimo caso: quello che lo ha spinto al ritiro dall’attività investigativa e che si scoprirà essere la causa del deteriorarsi della sua memoria. Anche grazie a Roger, il figlio della governante Mrs. Munro, riuscirà a fare luce sull’episodio in questione. Nella storia si intersecano tre livelli temporali: il presente, in una casa isolata lontano da Londra; il passato prossimo, rappresentato da un viaggio in Giappone, dove il detective cerca una pianta con virtù terapeutiche per la memoria, anche se viene accusato di aver provocato, a causa della sua fama, la fuga in Inghilterra del padre del suo ospite giapponese; infine, rievocato dal dolore e dalla colpa risvegliati dal viaggio in estremo oriente, un passato remoto che riguarda invece l’inchiesta che ha segnato la fine della sua carriera. Quest’ultimo livello temporale è il cuore della vicenda: il detective si tormenta e prende appunti, spinto in parte da sé e in parte da Roger che funge da suo alter ego. Questi si mostra essere un ragazzino curioso ed intelligente che vive nel mito dell’anziano detective e diviene rappresentazione della parte vitale del Sé di Holmes. Questa relazione con il ragazzino spingerà il protagonista a riprendere in mano il caso che lo ha tormentato e di cui conserva solo brandelli di ricordi. Si diceva come lo script abbia una struttura da giallo classico, ma si segnala anche come l’intera vicenda sia priva in realtà di particolari colpi di scena. Si rappresenta, invece, la tensione legata alla ricerca di una verità o di una presunta verità che fatica ad affiorare dalle nebbie di una mente mistificatrice: una verità che appare un’immagine sbiadita, confusa con visioni oniriche e ingombranti vuoti di memoria. Di primo acchito lo spettatore può pensare di trovarsi di fronte ad un caso di un iniziale Alzheimer, in realtà la perdita di memoria e, potremmo dire, dell’intelligenza, si rivela connessa ad una dinamica di inibizione/rimozione rispetto a un’infelice comunicazione indirizzata al personaggio femminile di quella insolita indagine.  Da questo punto di vista il significato della ricerca in Giappone di un rimedio di erboristeria esoterica che salvaguardi la lucidità e la memoria acquista un diverso significato psicologico. Diventa infatti un tentativo di riaffermare il modello del freddo pensiero inferenziale, negando così l’errore fatto dal detective nel suo ultimo caso. E ancora: la rinuncia alla professione di investigatore e l’autoesilio in una remota residenza di campagna non sono più un tentativo di ripararsi da stimoli esterni ovvero da compiti intellettivi cui il protagonista non riesce più a far fronte. Non sarebbero più interpretabili, in altri termini, come una spontanea difesa da deficit cognitivi riducendo il contatto con gli altri, con le richieste del mondo o con il pregresso status e mestiere, ma divengono una specie di punizione inconscia, legata ad un profondo senso di colpa. Da questo punto di vista possiamo anche osare un’ulteriore lettura del rapporto tra il vecchio Holmes ed il piccolo Roger: in questa relazione (si segnala come entrambi siano in modo diverso persone sofferenti: anche il ragazzino è bisognoso di un padre), si attiva la spinta a ripensare a quel remoto evento in senso riparativo: quella lontana esperienza rimossa e negata viene lentamente ricomposta da frammenti di memoria e frammenti emotivi in una sorta di dialogo tra conscio e preconscio. Di fatto, non c’è stato nessun delitto: l’investigatore, fedele al suo credo razionalista, si è limitato a dire la nuda verità a una persona molto afflitta, del tutto fraintesa dal marito e scarsamente contenuta dal protagonista. La brevissima conversazione con la donna che poi si suicida è uno dei momenti più riusciti e toccanti del film: il detective è consapevole della situazione complessiva della donna, ma non è capace di rispondere al bisogno di un contatto affettivo. Oltre a questo lento e progressivo percorso psicologico riparativo emerge un altro tema pregnante su cui i dibattono i protagonisti, ma che chiama pesantemente in causa lo spettatore nella sua dimensione etica (fiumi di inchiostro con alte riflessioni filosofiche sono stati scritti su questo), ma anche psicologica: la finzione può essere necessaria? Nella prospettiva della rigorosa verità dei fatti, Holmes per tutto il film sembra maledire Watson che ha romanzato i suoi casi e la sua figura, con tanto di commenti umoristici sulla pipa mai fumata o sulla mantellina mai indossata. Peraltro, alla fine forse accetta che la rifinitura della ‘menzogna’ possa donare cuore alle vite altrui e alla propria. Il film “ci invita a una seria riflessione sulla necessità di abbellire talvolta il reale per aiutare gli altri ad andare avanti. Una prospettiva che finisce col corroborare quella di Watson che avrebbe avuto, anch’egli, la tendenza ad abbellire i racconti delle imprese del suo mentore”

(Bachelard, Olivier 2016 «Mr. Holmes. Le magnifique crépuscule d’un enquêteur pas si infaillible», https://www.abusdecine.com/critique/mr-holmes/ ).